Consapevolezza: Il valore della conoscenza nella scelta

Quante volte effettivamente ci poniamo la questione della scelta solo dopo esserci preoccupati di conoscere realmente lo scenario in cui la operiamo? E quando crediamo di conoscere questo scenario, quanto confidiamo nella nostra consapevolezza? E che valore diamo alla consapevolezza?

Dalla scelta del telefonino a quella di avere figli, la vita è piena di momenti in cui ci troviamo di fronte a un decisione. A volte cerchiamo di conoscere tutte le scelte possibili altre volte scegliamo di affidarci all’intuito o al consiglio degli altri.
L’importanza attribuita alla conoscenza forse sta proprio nel fatto che razionalmente consente di correlare direttamente un effetto a una causa e appunto la presunta capacità di produrre quella causa con un’azione. Di certo a volte si sbaglia, ma nello studio l’approccio empirico del principio causa-effetto è storicamente quello che ha indotto i più grandi progressi sociali e teconologici.

Immaginando di trovarsi ancora in pigiama in una affollata metropolitana, possono venire in mente moltissime ragioni per cui avvertire una profonda sensazione di disagio. Probabilmente tutte diverse e generate da impulsi diversi e ognuna di queste gestibile in mille modi. Le complessità della mente e della realtà sono tali da non giustificare mai la piena fiducia nella propria consapevolezza. Eppure, talvolta, la confidenza di sè guida gli istinti e spesso, apparentemente, con saggezza.

La cognizione di una propria morale è una condizione che è sconosciuta a molti e che è invece un riferimento vitale per altri. La discutibilità degli assiomi morali ha il valore della verità stessa. La convivenza sociale e l’esperienza civile hanno prodotto una quantità di assiomi che potrebbero essere anche definiti mistici e che è veramente difficile contestare, tuttavia è immensa la differenza fra la sensibilità di chi li ha dedotti e chi li accetta e enuncia.
Di questi assiomi fanno parte la politica, la fede, la medicina e la scienza. Chi crede di poter dare torto ai politici dell’altra parte? O di negare la fede altrui? O di non giustificare le altre forme terapeutiche? Chi può dare un onesto senso alla scienza? Nessuno è in grado di dimostrare le prove della propria verità e ogni dimostrazione può essere contraddetta, lo dice la storia! E’ solo la nostra presunzione che ci fa credere che non cadremo negli stessi cosiddetti errori e che in futuro sapremo agire con maggior consapevolezza. L’inessere morale dell’essere umano è la contraddizione che da senso alla nostra vita. Non ci sarebbe il bene senza il male o il buono senza il cattivo. Ma l’essenza della consapevolezza sta nel riconoscere che il buono e il cattivo sono due manifestazioni della stessa entità e cioè della bontà o della cattiveria ovvero bontà e cattiveria sono la stessa cosa così come dolcezza e amarezza, ricchezza e povertà.

Finchè si prova il senso della relatività delle cose non esiste una misura preferibile delle stesse ma solo una scelta preferenziale di indagine dell’entità verso una direzione casuale. Non si potrà essere abbastanza buoni o cattivi ma ci si potrà imbuonire o incattivire e questa variabile sarà una delle nostre consapevolezze.
Ognuna di queste variabili contribuirà a guidare le nostre scelte e porrà gli accenti su alcuni momenti della vita e poi mutevolmente spingerà a tornare sui propri passi e fare altre scelte a scapito di quelle già fatte.

Ciò che rende inestimabilmente inutile ed essenziale la consapevolezza è l’eterno e connaturato squilibrio della verità nell’interpretazione degli assiomi e nella costruzione della propria morale.